“Sii come il cedro, che profuma anche l’ascia che lo abbatte“.
Questo breve proverbio indiano sembra sintetizzare uno dei messaggi che la liturgia della parola di quest’ultima domenica d’agosto ci offre.
Nella prima lettura, il Siracide dona un consiglio di sapienza:
“Compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso“.
Ma come intendere la mitezza? Spesso, infatti, è vista come l’atteggiamento dei codardi; di chi non sa tenere la schiena dritta e si abbassa alla legge del più forte. Altre volte, invece, è intesa come sinonimo di timidezza.
Niente di più sbagliato e fuorviante. Secondo la sacra Scrittura, infatti, la mitezza è la virtù dei forti. Proprio così. Perché consiste nell’attitudine a non farsi trascinare dalla cattiveria in ogni vicenda dolorosa e triste, di male e d’ingiustizia. Gesù stesso si definisce “mite e umile di cuore”, e mostra continuamente questa virtù, rispondendo sempre al male con il bene. Come il cedro del proverbio.
Mite, allora, è chi imita Gesù nelle difficoltà. Per questo è beato, come il Signore stesso ha proclamato:
“Beati i miti, perché erediteranno la terra“.
Ecco perché questa domenica la voce del Siracide invita a compiere le opere con mitezza, e saremo amati “più di un uomo generoso“.
Essere “generosi” a modo nostro, quando ci piace, e soprattutto con chi ci piace, non ci rende grandi agli occhi di Dio, se quando riceviamo un torto rispondiamo con cattiveria, critichiamo, insultiamo, escludiamo, boicottiamo, trattiamo male.
Don Michele Fontana
Spunti per l’omelia della XXII domenica del tempo ordinario.